Barriere in condominio di Corrado Tarasconi*
Accade spesso che disabili ed anziani si trovino in contrasto con altri condòmini quando è necessario adattare le parti comuni di un edificio per poter accedere agevolmente alla propria abitazione. La normativa vigente appare spesso ambivalente e i Giudici stessi non si pronunciano sempre in modo omogeneo. Vediamo, con l’aiuto di un legale competente in materia, le contraddizioni e le possibili linee interpretative. Tarasconi è un consulente del Centro Europeo Ricerca e Promozione dell’Accessibilità (Cerpa Italia), associazione che più volte ha collaborato con Mobilità.
La sentenza n. 12705 del 13 giugno scorso della Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione non contiene, sul tema dell’abbattimento delle barriere architettoniche in ambito condominiale, elementi di novità rispetto ai principi espressi dalla stessa Corte in precedente pronuncia (sentenza n. 12705 del 26.04.2005).
La sentenza, senza entrare nel merito delle questioni, ha respinto il ricorso promosso contro la sentenza d’appello del Tribunale di Agrigento (04.06.2002, n. 465/02) con la quale è stata dichiarata illegittima l’istallazione di un ascensore (esterno) nell’edificio condominiale, perché il corpo dello stesso avrebbe reso sensibilmente inservibile la relativa striscia di terreno condominiale occupata e avrebbe violato la norma sulle distanze, contenuta nell’art. 907 del Codice Civile.
La sentenza della Cassazione, tuttavia, fornisce l’occasione per riproporre una riflessione critica sull’argomento dell’abbattimento delle barriere architettoniche in ambito condominiale, questione estremamente rilevante per un ampio numero di persone con disabilità.
Fino ad oggi, l’argomento è stato affrontato con soluzioni contrastanti da parte della giurisprudenza di merito e, finora, trattato con una certa rigidità dalla stessa Corte di Cassazione.
Diritti ed esigenze contrapposti
È un dato oggettivo dell’esperienza che in ambito condominiale si registri un conflitto tra le ragioni di proprietà, comuni o individuali, dei condòmini e le ragioni del condomino disabile che esige il diritto al superamento di una barriera architettonica.
Il disabile può essere un comproprietario dell’edificio condominiale e, cosa ben più importante, certamente è portatore di un diritto all’accessibilità all’edificio condominiale e alla sua unità abitativa.
La materia ci obbliga ad uno sforzo interpretativo, poiché, da un lato, deve temperare l’impronta prettamente patrimonialistica delle norme in materia di condominio con le istanze di tutela introdotte della Legge 13 del 1989 sull’abbattimento delle barriere architettoniche; norme che lo stesso articolo 2, comma 3 della Legge richiama espressamente.
Dall’altro lato, l’interpretazione deve contemplare anche le diverse istanze di tutela dei soggetti di questo conflitto, definendone, alla luce dei principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, il grado di prevalenza, cioè se debba prevalere la tutela del patrimonio o la tutela del soggetto debole che deve accedere alla propria abitazione.
Infatti, come abbiamo detto, esiste una legislazione speciale (Legge 13/1989) in materia di abbattimento delle barriere architettoniche ma questa, in fase di applicazione, offre una prospettiva di lettura particolarmente critica delle norme in materia di condominio, “disvelandone” l’attuale inadeguatezza a governare una realtà profondamente cambiata: il microcosmo condominiale articola una serie d’istanze che, per sentire e vivere sociale, non sono più solo quelle legate alla proprietà.
Quali diritti
È di tutta evidenza, pertanto, che in via preliminare è necessario avere chiari quali siano i diritti in discussione, dati per storicamente definiti i diritti di proprietà in ambito condominiale, al fine di orientare l’applicazione delle norme chiamate a dirimere il conflitto fra disabili e condominio.
In particolare, per quanto riguarda il disabile, è necessario avere coscienza e conoscenza che la barriera architettonica è una situazione ambientale che interagisce – negativamente – con i diritti della sua persona e non solo con il suo patrimonio.
In primo luogo incide sul diritto ad un pieno inserimento sociale, che ha come condizione la possibilità per il disabile di accedere, in autonomia e sicurezza, dove meglio crede in base alle sue necessità, interessi ed aspirazioni.
Sotto questo profilo non è superfluo notare come sia mutata la visione del soggetto disabile: da tempo non è più un “soggetto non recuperabile” e la sua socializzazione è vista come elemento essenziale per la sua salute, con effetti e funzioni sostanzialmente terapeutiche, al pari delle cure e delle terapie di riabilitazione.
La barriera
L’accessibilità è stata identificata come uno dei presupposti per un pieno e libero inserimento sociale della persona disabile, quindi per la realizzazione della sua persona (lettera G dell’art. 2 del Decreto Ministeriale 14.06.1989, n. 236).
L’accessibilità, intesa come “la possibilità, anche per persone con ridotta od impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l’edificio e le sue singole unità ambientali e ambienti, di entravi agevolmente e di fruire spazi ed attrezzature in condizioni di adeguata autonomia e sicurezza”, è diventata “una qualitas essenziale degli edifici privati di nuova costruzione ad uso di civile abitazione, quale conseguenza dell’affermarsi, nella coscienza sociale, del dovere collettivo di rimuovere, preventivamente, ogni possibile ostacolo alla esplicazione dei diritti fondamentali delle persone affette da handicap fisici. Per quanto riguarda poi gli edifici privati già esistenti, vengono in considerazione, come espressione dello stesso indirizzo legislativo, gli interventi previsti dall’art. 2 della citata L. 13 del 1989, in virtù dei quali è possibile apportare all’immobile condominiale, a spese dell’interessato ed anche in deroga alle norme sul condominio negli edifici, le modifiche necessarie per renderlo più comodamente accessibile”.
Per il Giudice delle leggi, in altre parole, la barriera architettonica è situazione che può compromettere la salute e lo sviluppo della persona disabile.
I diritti del condomino disabile al superamento della barriera architettonica presente nell’edificio condominiale nel quale abita o al quale deve accedere, pertanto, non sono certo meno importanti delle ragioni di tutela del decoro architettonico dell’edificio condominiale, della servibilità o usabilità delle parti comuni, o dei diritti di proprietà sulle singole unità inglobate nell’edificio condominiale.
I limiti della legge
La barriera architettonica può compromettere, anche in ambito condominiale, le attività realizzatrici della persona disabile: questo è un concetto che, pur nella sua recente elaborazione, fa oramai parte del patrimonio di base dell’operatore del diritto.
In altri termini, la barriera architettonica può essere fonte, oltre che di un danno alla salute del disabile (danno biologico), anche di un danno esistenziale, inteso, appunto, come voce di danno all’interno della quale vanno ricondotti tutti gli impedimenti che la persona subisce sul piano delle attività attraverso le quali persegue il proprio sviluppo individuale.
Se non bastasse, la giurisprudenza di merito ha anche individuato un danno esistenziale nella riduzione delle potenzialità di godimento della propria abitazione.
I diritti di proprietà dei condòmini – alla cui tutela vigila, in caso di innovazioni sottese a superare una barriera architettonica, il secondo comma dell’art. 1120 del Codice Civile, espressamente richiamato dal terzo comma dell’art. 2 della Legge 13 del 1989 – si contrappongono alle posizioni soggettive del disabile di rilevanza costituzionale.
Purtroppo queste posizioni soggettive sembrano non essere tutelate pienamente dalla Legge 13/1989, se consideriamo i limiti alle innovazioni dalla stessa posti con il terzo comma del suo articolo 2. Per questo non è stata esente da critiche.
Infatti, non si può certo dire che la legge 13 del 1989 riconosca al disabile un diritto incondizionato alle innovazioni atte a superare la barriera architettonica.
La Legge 13 riconosce al disabile solo il più limitato diritto a realizzare opere mobili facilmente rimovibili (e non è il caso dell’ascensore), all’installazione di servoscala e all’allargamento di porte, purché ciò sia fatto a sue spese (vedi il secondo comma dell’articolo 2 della Legge 13/1989). Viceversa, ancorché con maggioranze meno rigorose di quelle previste dall’art. 1120, 1° comma del Codice Civile, richiede un consenso qualificato (con una maggioranza ampia) degli altri condòmini per l’esecuzione di opere di tipo strutturale qualificabili, appunto, come innovazioni.
Paradossalmente, in termini concreti, l’eliminazione delle barriere architettoniche ha trovato talora soluzione più efficace nelle norme in materia di comunione, vale a dire l’articolo 1102 del Codice Civile, che non nella legislazione speciale.
Giurisprudenza favorevole
Fa riferimento stretto al Codice Civile la sentenza che ha stabilito che il disabile ha anche diritto ad utilizzare il cortile comune per procedere all’installazione di una colonna d’ascensore al servizio del proprio edificio, tanto più nell’ipotesi in cui tra i condòmini utilizzatori dell’impianto installato vi siano soggetti disabili.
Sulla stessa linea è la sentenza che ha fissato il diritto ad installare un ascensore all’esterno dell’edificio condominiale, anche con l’eventuale dissenso degli altri condòmini, non costituendo ciò un’innovazione, ma una mera modifica, necessaria per il miglior godimento della cosa.
In altri casi la giurisprudenza ha prestato maggiore ed espressa attenzione all’esigenza di tutela per le posizioni soggettive costituzionalmente rilevanti del disabile e alla funzione sociale che deve avere la proprietà privata. L’intento è di garantire un’applicazione della Legge 13 più incisiva sul piano della tutela effettiva.
Su questo solco è la sentenza che ha riconosciuto il diritto del disabile all’installazione dell’ascensore nella gabbia delle scale, poiché nella valutazione comparativa dei contrapposti interessi – da effettuarsi nello spirito della funzione sociale che la proprietà privata ha nella Costituzione – risulta che l’ascensore consente al condomino disabile la soluzione di un problema vitale e di primo interesse quale è l’adeguato inserimento nella vita sociale.
In un altro caso ha riconosciuto il diritto alla realizzazione, sull’esterno dell’edificio condominiale, di una struttura metallica e di uno scalino per l’installazione di una piattaforma mobile, poiché la tutela del decoro architettonico dell’edificio condominiale va contemperata con l’esigenza di eguaglianza e solidarietà dovuta nei confronti dei disabili.
In un altro caso è stato ammesso il diritto all’escavazione del sottosuolo condominiale finalizzata all’installazione di un ascensore, senza che ciò arrechi danni attuali o futuri all’edificio condominiale, poiché ragioni di pubblico interesse e di solidarietà sociale rendono lecite anche le opere che incidono sul compossesso dei condòmini.
Questi slanci interpretativi, tuttavia, non hanno, ad oggi, definito in modo compiuto il punto d’equilibrio degli interessi in gioco.
Giurisprudenza contraria
Non manca, infatti, giurisprudenza di merito e di legittimità che, sulla base di un’interpretazione letterale della Legge 13 e nel rispetto delle norme in materia di condominio, non deroga, in alcun modo, all’intangibilità dei diritti di proprietà dei condòmini, intaccati dalle innovazioni richieste o adottate dal disabile.
In altri termini, si può dire che dall’esame delle diverse pronunce in materia di abbattimento delle barriere architettoniche risulta che dall’applicazione della Legge 13 del 1989 e dalle norme sul condominio e sulla comunione non è risolto il punto centrale dell’intera questione, vale a dire: se il disabile abbia o meno diritto di fare uso delle parti comuni dell’edificio condominiale per superare una barriera architettonica, anche contro il parere degli altri condòmini e ancorché l’innovazione realizzata incida, pur non travolgendoli, sui diritti di proprietà (comuni e/o individuali) di terzi, dovendo rilevare, per contro, il consenso dei condòmini al solo fine di vedere un loro concorso nelle spese di realizzazione dell’innovazione.
L’opinione
La nostra opinione è nel senso che questo diritto vada riconosciuto al disabile sulla scorta di una lettura costituzionalmente orientata delle norme in materia di condominio e di comunione.
È cioè necessario rileggere lo stesso Codice Civile alla luce della Costituzione, che garantisce principalmente valori personali (e non patrimoniali).
Questa logica interpretativa deriva dal nostro stesso ordinamento e dalla prevalenza che nello stesso hanno i precetti costituzionali di garanzia dei diritti inviolabili dell’Uomo e di tutela del bene della persona.
La “supremazia” della Carta costituzionale comporta che gli atti normativi in contrasto con i principi sanciti dalla Costituzione possano essere “censurati” dal Giudice delle leggi con una dichiarazione d’illegittimità costituzionale.
L’altra ricaduta è nei confronti del Giudice e degli operatori del diritto per i quali vi è l’obbligo di prediligere, a fronte di disposizioni che possano avere interpretazioni diverse, quelle più conformi al contenuto del precetto costituzionale.
Un’ultima conseguenza importante è l’immediata valenza applicativa della norma di garanzia dei diritti inviolabili della persona umana, anche in difetto di una specifica norma d’attuazione, posto che la norma di garanzia non rimane sospesa in attesa dell’intervento del Legislatore.
Non bisogna dimenticare, peraltro, che proprio con riferimento allo specifico tema dell’abbattimento delle barriere architettoniche, la Corte Costituzionale, con la sentenza del 10 maggio 1999, n. 167, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale del 2° comma dell’art. 1052 del Codice Civile, ha definitivamente chiarito che per realizzare condizioni di accessibilità è possibile incidere sul diritto di proprietà del terzo, atteso che ai sensi dell’art. 42 della Costituzione è lecito imporre limiti alla proprietà privata allo scopo di assicurarne la funzione sociale e che l’accessibilità è una qualità essenziale anche dell’edificio condominiale.
* Avvocato
La Legge 13
Ecco cosa prevedono gli articoli 2 e 3 (nel testo vigente) della Legge 9 gennaio 1989, n. 13 a proposito di opere di eliminazione di barriere architettoniche nei condomini e rispetto alle distanze dai confini.
“2.1. Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all’articolo 27, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed all’articolo 1, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all’interno degli edifici privati, sono approvate dall’assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall’articolo 1136, secondo e terzo comma, del codice civile.
2.2. Nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà di cui al titolo IX del libro primo del codice civile, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages.
3. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, del codice civile.
3.1. Le opere di cui all’articolo 2 possono essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, anche per i cortili e le chiostrine interni ai fabbricati o comuni o di uso comune a più fabbricati.
3.2. È fatto salvo l’obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del codice civile nell’ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune.”
Come fare
Qual è la procedura corretta per richiedere e realizzare opere di eliminazione di barriere architettoniche negli spazi comuni dei condomini?
Bisogna innanzitutto segnalare all’assemblea di condominio l’intenzione di realizzare un intervento volto a superare ostacoli esistenti negli spazi comuni che impediscono un agevole accesso alla propria abitazione. È bene presentare la richiesta in modo formale e per iscritto, meglio se con raccomandata con avviso di ricevimento. Si può consegnare la richiesta anche a mano, ma allora va prodotta in due copie: in una copia, che dovrà rimanere a chi fa la richiesta, ci devono essere la data e la firma di chi la riceve. È opportuno descrivere bene l’intervento allegando anche un preventivo di spesa.
L’assemblea di condominio deve deliberare sulla richiesta entro tre mesi dalla presentazione della domanda. L’assemblea può rispondere positivamente e prevedere che ciascun condomino si assuma in parte proporzionale le spese da sostenere, oppure può autorizzare la realizzazione dell’opera a condizione che il richiedente se ne assuma tutte le spese.
Se invece l’assemblea risponde negativamente o non risponde entro il termine di tre mesi, i richiedenti possono “installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages”.
In caso di ulteriori dissidi è sempre consigliabile rivolgersi ad un legale. A tal proposito va segnalato che i precedenti giurisprudenziali più recenti ed accreditati sono tutti a favore delle persone con disabilità. Nel caso ci si rivolga ad un legale, non guasterà fornire una copia di questo articolo, oltre alle informazioni relative al caso specifico.